Dove può arrivare la Juve?

"Vincere non è importante, è l'unica cosa che conta" era il motto di Giampiero Boniperti che riassume la concezione della Juventus: è per questo che la Vecchia Signora ha conquistato 35 scudetti ed è la società italiana con più titoli. Dalla ricostruzione il club torinese ha vinto 6 campionati consecutivi, stabilendo un record per la Serie A.
Ma rimane un ultimo scoglio da superare, ed è quello della Champions League. In questi sei anni la Juventus ha raggiunto due finali, ma le ha perse entrambe. Sicuramente non ha mai avuto fortuna con questa competizione: tutti i tifosi ricordano la finale di Manchester persa ai rigori col Milan nel 2003 o quella di Berlino nel 2015 contro il Barcellona, con il rigore non assegnato. Ma, a parte questo, bisogna riconoscere gli errori che sono stati commessi. La Juve non ha avuto in Champions la stessa ambizione che ha in campionato. Il problema non è che gli avversari sono più forti. Sarebbe un alibi troppo comodo. Sicuramente in questo momento esistono due squadre che sono migliori di tutte a livello di qualità individuali, il Real Madrid e il Barcellona. Ma la Juve ha mostrato di potersi giocare le sue chances con qualunque avversario. Non è per caso se ha già eliminato proprio le due spagnole, rispettivamente nel 2015 e nella scorsa edizione. Ha dimostrato di avere le capacità per giocare alla pari con il Bayern Monaco nel 2016 e persino di vincere, prima del gol del pareggio dei tedeschi a pochi minuti dalla fine. Nelle ultime tre stagioni di Champions la Juventus ha giocato sei partite durissime, con i club più forti d'Europa senza mai perdere nei 90 minuti e vincendo in alcuni casi (la sconfitta contro il Bayern è maturata solo nei supplementari). È vero, i bianconeri hanno valori individuali inferiori rispetto alle due spagnole, ma restano comunque tra i primi cinque o sei club al mondo. Sì, certo, quest'anno forse si è indebolita la difesa, ma si è anche rafforzato l'attacco, con l'arrivo di Douglas Costa e Bernardeschi e con la crescita di Dybala. D'altro canto il calcio è uno sport di squadra, ed è con la squadra che si vince, non con i singoli. Altrimenti come è possibile che l'Atletico Madrid sia arrivato due volte in finale sfiorando la vittoria?
Nel calcio non ci sono undici solisti, ma un'orchestra che per suonare la sua sinfonia deve essere coesa e perfettamente sincronizzata. Per questo mi trovo in disaccordo con coloro che pensano che la Champions League sia un affare di sole due o tre squadre che hanno le rose migliori. Tanto varrebbe allora non giocarla!
Senza una squadra, senza un gioco collettivo, non esisterebbero nemmeno Messi e Cristiano Ronaldo. Una società come la Juventus deve porre la vittoria della Champions League come obiettivo prioritario. Prioritario vuol dire che la Champions viene prima di tutto il resto. Solo così è possibile vincere.
La sconfitta della finale di Cardiff dovrebbe far riflettere. Non è stata una sconfitta dovuta a inferiorità rispetto al Real. La Juve ha giocato alla pari per 45 minuti. Il crollo del secondo tempo è stato unicamente psicologico. Le responsabilità della sconfitta partono dalla dirigenza e arrivano fino ai giocatori. Dalla dirigenza non per la campagna acquisti, ma per la gerarchia degli obiettivi stabiliti. La società ha trattato la Champions come un di più, rispetto al campionato, non come lo scopo principale della stagione e la meta finale di questi sei anni. Questo messaggio si insinua nella mente dei giocatori e in particolari condizioni di stress psichico e fisico può portare a una sorta di appagamento inconscio. È quanto è accaduto a Cardiff, determinando quel leggero calo di concentrazione che ha influito sul risultato finale. Leggero ma determinante, perché in una partita singola di quel livello sono piccoli particolari a fare la differenza. Questa è anche la ragione per cui il Real ha vinto 12 Coppe dei Campioni, magari alcune anche ai rigori, o con reti all'ultimo minuto, ma le ha vinte. Nella mente dei giocatori madridisti non subentra mai quel lieve appagamento che porta a pensare, come fanno altri, inconsciamente (e spesso anche consciamente, come si evince da certe dichiarazioni di giocatori e allenatori) "abbiamo già fatto tanto,  ben venga qualcosa in più ma siamo già soddisfatti così". I giocatori del Real non si accontentano della vittoria in campionato o in Coppa del Re. Per loro non vincere la Champions significa aver fallito gli obiettivi stagionali. Lo pensano, o meglio, lo vivono, per loro è quasi scontato, perché questo esige da loro la dirigenza e questo esigono tutti i tifosi. Ed è questa la vera ragione, più che una rosa indubbiamente straordinaria, ad aver determinato i loro successi.
La Juventus, del resto, ha fatto lo stesso, ma in un'altra competizione, il campionato. Per la Juve - la società, i tifosi, gli allenatori, i giocatori, fino all'ultimo magazziniere - non vincere il campionato è un fallimento. Il secondo posto, che soddisfa altre società, per la Juve è una sconfitta. Ed è per questo motivo che la Juve ha vinto 35 scudetti di cui gli ultimi 6 in sei anni, mentre il Napoli o la Roma arrivavano secondi o terzi, ed è la stessa ragione per cui l'Inter perse lo scudetto nel famoso maggio del 2002 all'ultima giornata e il Milan di Allegri, che aveva in rosa Thiago Silva, Ibrahimovic e Seedorf, perse contro la Juve di Conte, che giocava con Pepe e Matri.
Se la Juve applicasse questo spirito, riassunto dal motto di Boniperti, alla Champions, potrebbe senz'altro alzare la Coppa Campioni anche da quest'anno o dal prossimo, Messi o non Messi. Viceversa, potrebbe aspettarne anche altri venti.


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